Zecca

Nuovi approcci possono aiutare a diagnosticare la malattia di Lyme

Nel 2005, Rachel Straub era una studentessa universitaria di ritorno a casa da una missione medica di tre settimane in America Centrale. Poco dopo il suo rientro fu vittima di un grave attacco influenzale, o almeno questo credeva. Febbre e dolore la tormentarono ancora per un paio di settimane dopo il suo rientro. Il suo medico sospettava la malattia di Lyme, contagiata proprio dalle zecche, ma il test si rivelò negativo e all’epoca la malattia era pressoché sconosciuta in America Latina.

Per anni, Rachel Straub ha lottato con una spossatezza schiacciante e con problemi immunitari e ha proseguito i suoi studi. Dedicando i suoi sforzi alla forma fisica, ha iniziato a scrivere un libro sull’allenamento con i pesi. Ma a partire dalla fine del 2012,la sua salute vide un drastico peggioramento.

A gennaio del 2013 dovette tornare a vivere con i suoi genitori. Da quel momento, vide un via vai di medici che proposero diverse diagnosi: sindrome da affaticamento cronico, mononucleosi. Non aveva mai ricevuto una diagnosi definitiva, ma un reumatologo specializzato in immunologia le prescrisse finalmente potenti antibiotici.

Quasi immediatamente, Straub provò brividi e altri sintomi parainfluenzali, e la sua pressione sanguigna precipitò: problemi che a volte insorgono quando gli agenti patogeni iniziano a uccidere in massa gli organi interni. Straub cominciò lentamente a migliorare, ma nei quattro anni successivi riusciva a malapena ad uscire di casa.

Storie come questa rendono la malattia di Lyme una delle più misteriose. Non è difficile trovare pazienti morsi da una zecca che vivono per anni con sintomi non diagnosticati, inspiegabili e resistenti alle cure. Ecco perché Paul Arnaboldi, immunologo del New York Medical College di Valhalla, e altri ricercatori stanno lavorando per una migliore diagnostica (fonte: SN 16/09/17, p. 8). Il test standard composto da due parti attualmente impiegatoa, che presenta pochissime modifiche dalla sua introduzione, può fallire in circa la metà dei casi di persone infette nelle prime settimane di malattia. Il test si basa sulla ricerca di marcatori che mostrano l’effettiva attività del sistema immunitario. Per alcune persone occorrono anche sei settimane perché essi siano rilevabili.

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